
Nel 2007 Eugenio Alfano – avvocato, pittore e attivista di Amnesty International – ha dialogato con il poeta e saggista Gianni D’Elia sull’opera di Pier Paolo Pasolini. Il confronto, pubblicato in “Pagine corsare”, presenta l’interpretazione critica di D’Elia sulla poesia e il pensiero “eretico” di Pasolini, oltre alla sua tesi sui moventi politici dell’omicidio all’Idroscalo di Ostia. Emerge inoltre una riflessione amara sulla decadenza culturale dell’Italia contemporanea, che D’Elia vede impoverita, forse irreversibilmente, nei suoi valori umanistici e culturali.
La morte di Pasolini è una morte tuttora oscura, ma di cui lei non ha esitato di rintracciare i motivi nell’ultima fatica pasoliniana: Petrolio. Cosa si nasconde dietro questo romanzo “incompiuto”?
Dopo L’eresia di Pasolini scrissi Il Petrolio delle stragi, seconda parte, postilla de L’eresia [Effigie, 2006], dove si parla soprattutto di Petrolio, di quello che dice: racconta cioè la strage di Stato e tutto il periodo delle stragi, dal delitto di Enrico Mattei, precipitato con l’aereo nel ’62, al delitto di Pasolini stesso nel ’75. Seguo insomma le tracce del giudice Vincenzo Calia che ha depositato la fine della sua inchiesta, il quarto stralcio sul delitto Mattei, in cui dice che quello è stato un attentato, avendolo anche dimostrato, ma che però ha dovuto archiviare perché in Italia vige il segreto di Stato. Il giudice collega il delitto Mattei, la scomparsa e quindi il delitto di Mauro De Mauro e il delitto di Pasolini, e cita Petrolio come fonte storica della sua inchiesta, dicendo che Pasolini ricopia almeno una trentina di pagine di un libro su Cefis di tale Giorgio Steimetz, il quale sarebbe Corrado Ragozzino, che dirigeva l’agenzia AMI di Milano: l’altra faccia dell’onorato presidente Cefis. La vita di Cefis, che Pasolini glossa e riscrive, è presa dal giudice in molte parti in cui dimostra per esempio, non so, che il piccolo servizio segreto privato di Cefis, cioè la società DAMA, rientra in Pasolini e diventa AMDA. Lui addirittura fa gli anagrammi e rovescia le sigle e anche da questo si può dedurre come il giudice avesse le fonti. Ma le fonti non si fermano qui, ed è questo che è inquietante. Cioè il giudice ha dimostrato che tra le carte di Pasolini, insieme a Petrolio, ci sono tre relazioni di Cefis con appunti scritti a matita non pronunciati nelle occasioni ufficiali nei quali sono stati fatti, e una parte del romanzo nella quale si parla proprio della storia dell’accumulazione del denaro al tempo della guerra (Cefis insieme a Mattei erano nella stessa divisione Partigiana Bianca repubblicana nella Val D’Ossola, mentre Pasolini poi l’ambienta in Brianza). Lì lui dimostra in qualche modo di sapere, ma questa parte di romanzo è sparita, ed è questo che anch’io denuncio nel mio libro: Pasolini in alcune righe dice «rimando il lettore a quanto ho già detto su Bonocore (che poi è il nome di Mattei nel romanzo) e su Troya (Cefis nel romanzo)» e queste parti invece non ci sono. Rimando comunque il lettore al libro, all’interno del quale ho dimostrato che Pasolini stava addosso alla verità sulle stragi, al legame tra la politica e la guerra del petrolio italiano, tra petrolieri privati e petrolieri pubblici, quindi tra Cefis con la Montedison e gli altri, Monti soprattutto, e le parti politiche, Andreotti che stava dalla parte dei privati, cioè di Monti, e Fanfani che invece stava dalla parte di Cefis. Tutto questo è dimostrato col prospetto che Pasolini disegna nelle pagine di Petrolio, facendo proprio l’organigramma del nuovo potere.
Quindi diciamo che noi siamo ancora con la menzogna su tutti gli anni ’70 e che quindi Pasolini ci serve per chiedere la verità: devono togliere il segreto di Stato, perché gli italiani e soprattutto voi giovani possiate sapere cosa è successo in Italia e avere un’idea della rovina di oggi. Il momento che stiamo vivendo adesso di grandissima confusione politica deriva proprio dalla mancanza di verità in questo paese. Non c’è più un legame tra la politica e la cultura. Quindi l’anniversario della morte di Pasolini deve essere usato come denuncia di questo grande vuoto di verità che, da quando la sua voce si è spenta, in Italia è ancora più assordante. Quindi Pasolini ci serve ancora molto perché la storia d’Italia non è compiuta, soprattutto non è svelata.
Tutta l’intervista è pubblicata dal Centro Studi Pasolini di Casarsa.